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3 aprile 2011

Libia: conoscerne il passato per leggerne il futuro

Libia

Mario Occhini, classe 1982,  dopo la laurea con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Genova in Politiche ed Economia del Mediterraneo con una tesi proprio sulla Libia e sui migranti, ha lavorato lavorato in Libia in diversi momenti negli ultimi cinque anni, collaborando prima con l’Istituto per il Commercio Estero a Tripoli e poi con la CONICOS Lybia Branch, compagnia edile che aveva il compito di erigere un aeroporto nel sud del paese. E' ora tornato a Genova, in attesa che la situazione si stabilizzi per poter tornare sul campo. Ci ha mandato questo contributo molto interessante che quindi condividiamo con tutti voi.

LIBIA, CONOSCERNE IL PASSATO PER LEGGERNE IL FUTURO.

Secondo una leggenda, la mafia è nata in Libia e poi è stata esportata in Italia. La prima esportazione della Libia verso l’Italia, prima ancora del gas e del petrolio, sarebbe dunque la società di tipo mafioso.
Ovviamente è solo una leggenda, che però, per alcuni aspetti, è ampiamente giustificata dalle caratteristiche del sistema di potere che, indipendentemente dal tipo di governo, è radicato nella società e nella popolazione libica. La caratteristica principale dell’organizzazione sociale e politica libica, che rimanda ad un’impostazione di tipo mafioso, è il rigido controllo tribale e familiare. Le città e le società in Libia, infatti, sono organizzate e gestite da poche famiglie che intrattengono rapporti clientelari con la maggior parte della popolazione.
In Libia, a differenza degli altri stati della sponda sud-est del Mediterraneo, non si è mai affermata in maniera definitiva una dinastia né una sorta di società stabile. Il territorio libico è infatti vastissimo e per la maggior parte deserto, e, nel tempo, l’uomo si è insediato in maniera stabile solo sulla costa ed in prossimità di alcune oasi nel deserto, rendendo difficile la formazione di una società unitaria.
Come risultato, la popolazione libica si presenta ancora oggi divisa in etnie e in tribù, e su questa struttura sociale è stato imposto un sistema di governo, la Jamahirya, che è un unicum nel panorama mondiale e che dà solo una parvenza di unità, essendo comunque basato su comitati locali.
Le principali etnie sono quella araba, quella touareg, quella tebu e quella berbera e le relazioni personali sono ancora spesso di tipo tribale e familiare, sebbene evolute e al passo coi tempi. Non a caso, in questi giorni, si è spesso sentito parlare di solidarietà delle varie tribù con il regime o con gli insorti. La famiglia stessa di Gheddafi, i Qadhafa, originaria del golfo di Sirte, è stata attaccata dall’aviazione occidentale.
In una società di questo tipo non si è potuta istituire una forma di organizzazione politica o sociale efficace, ed i rapporti sociali sono spesso basati sulla corruzione e l’inganno.
La Libia è forse il paese più ricco del nord Africa (il forse è d’obbligo, dato che la ricchezza del paese si confonde con quella del suo dittatore), grazie al gas e soprattutto al petrolio. Da quando Gheddafi ha preso il potere nel 1969, la ricchezza del paese è cresciuta molto grazie ad una oculata diversificazione degli investimenti da parte delle agenzie governative libiche (solo in Italia Unicredit, Finmeccanica, Juventus…) che ha permesso alla Libia di superare l’embargo ONU successivo alla strage di Lockerbie del 1988 quasi senza problemi (nel 1988, due agenti libici fecero esplodere sopra i cieli di Lockerbie, in Scozia, un aereo della Pan Am provocando 270 vittime).
La grande ricchezza della Libia, però, come in tutte le dittature, non è disponibile per la maggior parte della popolazione. Questo non vuol dire che la maggior parte della popolazione libica sia povera, almeno non come ci si potrebbe aspettare.
Al contrario, l’amministrazione autoritaria e paternalistica di Gheddafi ha fatto in modo che il popolo, in teoria il vero detentore del potere secondo la forma di stato libica della Jamahirya, abbia tutto quello di cui necessita. Negli anni, infatti, è stata perseguita dal rais una politica socialista di proprietà pubblica e di calmieramento dei prezzi per i beni di prima necessità come il pane, le uova e la stessa acqua, così preziosa per uno stato quasi totalmente deserto. Le case sono di proprietà del popolo e gestite per suo conto dal governo che le cede, gratis o con forme di contratto agevolate, a chi ne necessita (ed altrettanto arbitrariamente le libera se servono per altri scopi…). Per questo è difficile trovare per strada chi sia senza tetto o senza cibo.
Per questo, negli anni, i libici hanno imparato ad adagiarsi. Con una politica di grande sviluppo edilizio, di importazione della manodopera e di sostegno alla popolazione residente, il regime è riuscito a sopire ogni istinto rivoluzionario e ogni ambizione per anni.
La dittatura militare, posta in essere da Gheddafi, è basata sul metodo del bastone e della carota. Se le misure precedentemente descritte rappresentano la carota, il bastone è più subdolo ed articolato. In Libia, infatti, molte leggi esistono solo come pretesto, e a pochi importa che le si rispetti. A titolo di esempio, fino a pochi anni fa non si poteva possedere un’antenna parabolica, eppure ogni tetto di Tripoli ne aveva una. Finché la gente appoggiava il regime non c’erano problemi, ma appena qualcuno osava dire qualcosa di politicamente sbagliato veniva arrestato perché possedeva una parabola! Ecco aggirata la libertà di opinione e di pensiero.
Attraverso un complicato sistema di servizi segreti su più livelli e con controlli incrociati l’intera società è tenuta all’obbedienza. È difficile se non impossibile trovare due libici che insieme parlino male del regime, mentre presi singolarmente lo criticano, e questo per paura di essere denunciati l’uno dall’altro.
Per essere una dittatura militare, fino allo scoppio della crisi si vedeva in giro ben poca polizia perché non serviva, grazie a questo sistema. Comunque le prigioni libiche non sono un bel posto in cui passare neppure poche ore anche perché potrebbero essere le ultime. Infatti si sprecano i racconti di persone scomode morte in prigione o addirittura “semplicemente” sparite.
Questo sistema, però, ha esasperato la popolazione al punto che, sulla scia delle rivoluzioni negli altri paesi nord africani, anche in Libia la popolazione, almeno parte di essa, si è mossa contro il regime.
Uno dei motivi della rivolta libica, come negli altri stati mediterranei, è la disoccupazione. Sebbene in Libia il tasso di disoccupazione sia molto alto ciò è quasi normale perché tendenzialmente in Libia i libici non lavorano o lavorano il meno possibile. Tutti i lavori più umili vengono svolti da africani sub-sahariani, mentre i ruoli più delicati sono prerogativa di tunisini, egiziani, e cittadini di altri stati arabi o, addirittura, di paesi orientali.
Bisogna, a questo punto, fare una distinzione che permetta di capire perché, allora, la disoccupazione sia stato uno dei motori della rivolta. I giovani infatti, navigando su internet e guardando i programmi mondiali sul satellite, hanno aperto gli occhi, iniziando un’inversione di tendenza che è poi sfociata nelle manifestazioni e nei disordini da cui è nata la guerra civile.
Da anni le nuove generazioni sviluppano ambizioni che il sistema Libico frustra continuamente. Le basi di questa frustrazione sono sociali oltre che politiche. Se dal punto di vista della politica, infatti, il sistema di governo della Jamahirya ha mostrato evidenti limiti, è però nella società stessa che risiedono i problemi maggiori, cioè quelli già enunciati. Innanzitutto il sistema tribale e patriarcale, per cui ai giovani sono riservati posti inferiori nonostante la preparazione scolastica superiore. Derivato da questo è il problema dell’appartenenza tribale, per cui le posizioni pubbliche, ma anche quelle all’interno delle aziende private, sono regolamentate dai rapporti tra le tribù o le famiglie. Ultimo, ma non meno importante, la corruzione. Se è vero che in Libia sono ancora molto forti i legami familiari, è altrettanto sentito il potere del denaro e dei favori.
Questi sono tutti elementi che rendono estremamente complicato per uno straniero non solo investire in Libia ma anche viverci, e sono tutti elementi che non spariranno con il regime di Gheddafi.
(In definitiva, non so se sia vera la leggenda sul fatto che la mafia sia nata in Libia, ma certo è che certe analogie si possono trovare tra le strutture sociali e politiche e le dinamiche sociali e politiche della Libia e quelle di casa nostra in questi anni.)

Dr. Mario Occhini