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25 maggio 2011

Tutti sull'isola che non c'è

“Quando si disegna un Piano urbanistico comunale moderno non si può pensare: qui metto le fabbriche, qui metto i negozi, qui metto i servizi… è sbagliato. Per potere essere competitivi a livello internazionale bisogna essere flessibili e allargare lo sguardo anche agli aspetti della qualità della vita. Lo studio effettuato dal Censis ci ha detto che Genova può crescere nel porto, nell’hi-tech e nel turismo”.

Queste belle parole profonde ed illuminanti, in pieno stile “blablabla” da nonsense vincenziano, vengono (fonte Il Secolo XIX) da Richard Burdett, architetto consulente della signora Sindaco.
Le parole costano poco, e ricordo con un sorriso amaro quando nel 2002 a Torino, in piena crisi esistenziale della Fiat, il capoluogo piemontese evocava un luminoso futuro “nell’hi-tech, nel turismo e nella cultura”. Ecco che anche da noi la formuletta torna utile, con l’aggiunta (obbligata) del porto al posto della cultura.

Queste parole giungono –sfiga vuole per il consulente- nel giorno in cui Fincantieri ha deciso di tagliare fuori dai suoi piani la nostra città, con il Comune intento a disegnare –di nuovo?!- l’aeroporto in mezzo al mare, spostando qua e là attività produttive (Piaggio Aero Industries e Porto Petroli) con un collage di frasi fatte sulle infrastrutture che mancano da secoli e mirabolanti promesse per spostare un aeroporto al largo come un canotto di un bambino.
Il dramma di Fincantieri è troppo serio e complesso per essere strumentalizzato, e non lo farò per una questione di serietà, ma per tutto il resto, mi chiedo: qual è la politica industriale e dell’occupazione dell’attuale sindaco? Quale la visione strategica della città?
Dobbiamo ricordare il trasferimento delle attività di Malacalza alla Spezia, di Boero oltre appennino, il furto (tutto politico) di tutta la direzione Postel per renderci conto di quante opportunità abbiamo perso e di quante altre stiamo perdendo?
Oggi abbiamo un mix letale di idee confuse ed assenza di decisioni in un contesto, quello nazionale, che già non invoglia l’insediamento di nuove attività produttive, specie dall’estero. Se a questo aggiungiamo anche il messaggio, che sembra trasparire dalle frasi di chi gestisce il Comune, che l’industria ci dà anche un po’ fastidio, bene: via alle danze mentre il Titanic affonda.

Io credo che sarebbe l’ora di affrontare il tema dell’occupazione e della pianificazione strategica della città in modo più serio e professionale. Accantoniamo i progetti faraonici che –per motivi tecnici o finanziari- non si potranno mai realizzare. Lasciamo ogni progetto di aeroporto sul mare o sulla luna e concentriamoci su poche, semplici cose:
  • censire le aree disponibili e razionalizzarle, integrandone il collegamento con le infrastrutture necessarie
  • fare squadra –al di là dei colori politici- per realizzare quelle due-tre opere fondamentali per la città (gronda e valico in primis)
  • difendere con il coltello tra i denti le attività, partecipate e non, che abbiamo, evitando di spaventare quelle che ci sono e che sono già in difficoltà per la crisi economica (ricordate quando qualcuno pensò di demolire lo stabilimento di Ansaldo Energia per piazzarci nel mezzo un pilone della gronda? Oggi lo stesso discorso vale per Piaggio…)
  • creare i presupposti per nuovi insediamenti, possibilmente senza lo snobismo di considerare “di serie B” tutto ciò che non è catalogabile come “hi-tech” (…che del resto non ha alcun significato: anche la produzione di un bullone può essere “hi-tech”…)

Ultimo, ma non secondario, creare una classe dirigente forte, che abbia un peso anche a Roma. Perché non si ripetano i casi di decisioni prese a nostre spese per la nostra debolezza politica, e non è una questione di colore, ma di persone: quelle di oggi e di ieri non sono o non sono più adeguate ed è l’ora di sostituirle e spedirle sull’isola-che-non-c’è dell’aeroporto. Forse questo sarebbe l’unico modo per poter dire che cinque miliardi di euro per un’isola galleggiante sono spesi bene…