Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

8 marzo 2011

Se non OGGI, quando? di Enrico Musso



La donna che lavora part time per dedicarsi ai figli è una parassita, che ruba il posto a chi al lavoro potrebbe dedicare più tempo. Quella che rimane incinta quando ha un posto fisso è una traditrice del datore di lavoro, e lui (lui!) meglio farebbe ad assumere un maschio. Quella che alleva i bambini è una privilegiata che non merita la stessa carriera delle grandi manager. Quella bella ha il vantaggio di fare carriera perché è bella, ma certamente è un’oca. Quella brutta può far carriera senza che nessuno pensi che è lì perché è bella. Se poi non fa carriera perché è brutta, sono cavoli suoi.

Ma perché si continua a misurare il valore delle donne con il cervello degli uomini? E se – banalmente – il primo non stesse dentro al secondo?
Perché mai la donna di successo è per forza “una tosta”, senza scrupoli, non interessata alla famiglia o comunque non quanto ai traguardi professionali (che altrimenti le sarebbero negati)? Una donna travestita da uomo. Uno stereotipo malato dove solo le caratteristiche maschili, anche negative, sono adatte ad affermarsi nel mondo (dei maschi). E come se non bastasse, la donna che comunque si afferma con le regole dei maschi deve preoccuparsi del loro giudizio, essendone circondata. Sostengono (gli uomini): “di un uomo la bellezza conta poco. Contano intelligenza, simpatia, carisma, potere, soldi”. Se a una donna dicono di un uomo che è intelligente e simpatico, lei è incuriosita. Se a un uomo dicono di una donna che è intelligente e simpatica, lui capisce che è brutta.
Nascono bambini, si creano famiglie e si distruggono, si fa la spesa, si cucina, si riordina la casa, si ama, si odia, si educa, si lavora. Ma solo dalla donna si pretendono conferme al “modello maschile”. Gli uomini vogliono la mamma, la casalinga, la moglie, l’amante. Amano la donna sexy, elegante, firmata, che lavora a fianco e a favore dell’uomo, nell’azienda dell’uomo. Adorano la donna di successo, purché il successo non sia superiore al loro. Non danno importanza ai ruoli che non svolgono, né alle donne che li svolgono. E che cosa penserebbero di un uomo che scegliesse di badare ai figli, alla casa, e alla carriera della sua donna?
Le donne, a quanto pare, si adattano. Finiscono per perdere di vista quello che vogliono, o per doverlo affermare “contro” gli uomini. I figli e la famiglia sono un ostacolo al lavoro, al divertimento, all’affermazione sociale, al fisico scultoreo. E la donna diventa la peggior nemica di se stessa. In millenni di androcrazia, la donna, in cerca di un ruolo sociale, si è adattata a diventare oggetto del desiderio maschile: il ruolo che l’uomo le offriva, inferiore e umiliante. La donna occidentale denudata e la donna musulmana nascosta sono vittime della stessa malattia maschile. È il maschio sempre pronto all’avventura, quello delle barzellette sessiste, quello che appende in bottega il calendario porno spacciato come artistico, quello che atterrito dall’incipiente vecchiaia abbandona donna e figli per il sedere di una ventenne, quello che suona il clacson, fischia e fa commenti per strada, quello che si aspetta la cena pronta e la spesa fatta, quello che assume la segretaria donna e promuove dirigente l’uomo. E se gli uomini hanno sbagliato tutto, le donne li hanno aiutati anche in questo. La Babele sociale che ne è derivata ha “sterilizzato” le donne: la denatalità sarà il grande problema delle società occidentali nei prossimi 50 anni.
Ora, se vogliamo uscire da questo pasticcio, sarà bene lasciar fare alle donne. Che sanno quello che possono fare (e gli uomini no). Che conoscono il valore del loro ruolo, la bellezza della loro sensibilità, dei loro tempi e dei loro modi, la loro concretezza. Che vedono cose che gli occhi degli uomini non vedono. Che trasmettono la loro forza, la stabilità e l’importanza dei loro sentimenti e dei loro obiettivi, la meraviglia del poter dare la vita. Visti i risultati dei modelli sociali maschili, mi pare ora di sperimentare quelli femminili.
Una riflessione contingente, in margine al 13 febbraio. Occhio alle strumentalizzazioni, sempre. Il ruolo assegnato alle donne (e in virtù del quale vengono selezionate) nei baccanali bungabungheschi è semplicemente ributtante. Ma quasi sempre le protagoniste non sono vittime incolpevoli, sono donne libere che accettano questo ruolo come scorciatoia per il successo. Il successo dei soldi e della gloria mediatica (ben definita da Guccini), praticamente gli unici valori che l’Italia di questi anni sembra trasmettere ai ragazzi. Che poi anche le televisioni di Berlusconi abbiano contribuito a diffondere questi “valori” e accendere i riflettori sulla donna oggetto, è indubbio. Ma insistendo sulla retorica delle “vergini che si offrono al drago” corriamo due rischi. Il primo è di convincerci che quelle siano vergini, mentre invece sono zoccole. Il secondo, assai più grave, è che ci si ricordi della dignità della donna solo quando serve ad alcuni uomini per togliere di mezzo un loro simile. È ora di accendere i riflettori sulle donne, su quelle che non si offriranno mai ai draghi, e di spegnerli su chi non rimpiangeremo: le altre, e, già che ci siamo, i draghi.
ENRICO MUSSO